Lunedì, Ottobre 07, 2024
Saperi, competenze, pratiche e narrazioni nel sociale
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Associazione di promozione sociale
Liberazioni è alla terza edizione.
Il concorso di scrittura verte su: “Cosa ha significato, vivere, convivere all’interno del carcere in tempo di emergenza sanitaria? E dopo cosa succede?".
Questa la domanda da cui muove il terzo Concorso nazionale di scrittura di Liberazioni – Festival delle arti dentro e fuori.
Tema del bando, aperto sia a detent* di qualsiasi istituto penitenziario italiano, sia a persone in misura alternativa, narrazioni inedite in forma di racconto breve per ricordare passioni, paure, detti e non detti e come queste hanno cambiato i molteplici spazi e tempi della reclusione durante la pandemia.
Una kermesse dalla doppia anima, locale e nazionale LiberAzioni. Infatti se Torino, il quartiere Vallette e la Casa circondariale “Lorusso e Cutugno”, rappresentano i luoghi dove si svolgerà, tra la fine di settembre e inizio ottobre 2021, un festival della creatività, sono due i concorsi, uno di cinema e uno di scrittura, a carattere nazionale.
Scarica il bando del concorso di scrittura
Perché Sapereplurale aderisce al Comitato per la verità e la giustizia sulle morti in carcere del marzo 2020 e perché ci stiamo attivando per la raccolta di fondi necessari al ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, contro l’archiviazione delle morti avvenute nel carcere Sant’Anna di Modena
Dalla newsletter del Comitato per la verità e la giustizia sulle morti in carcere del marzo 2020, N. 10/3 giugno 2020, https://www.dirittiglobali.it/coronavirus-morti-carceri-appello/
1989-2020: un incendio, una pandemia. E la morte entra nelle celle
di Associazione Sapereplurale
Il 3 giugno, per noi, si rinnova il dovere della memoria. Da quel 1989, quando un incendio nel braccio femminile del carcere delle Vallette, a Torino, uccise undici donne, nove detenute, due agenti. La più grande tragedia del carcere della riforma, abbiamo sempre scritto, fin dall’inizio, quando abbiamo chiesto verità e giustizia e lavorato per un giusto processo; e poi anno dopo anno, per 30 anni, perché la smemoratezza si è impadronita quasi subito di queste donne, destinando le loro morti alla irrilevanza. Smemoratezza e irrilevanza cui del resto, e sempre più, paiono destinate le vite e le morti di chiunque, donna e uomo, sia rinchiuso e recluso.
Ogni 3 giugno riviviamo un nuovo anniversario, caparbiamente decise a non dimenticare. Ci vuole tenacia, contro l’irrilevanza.
Ma nel 2020 è stato diverso. Il conto triste e rabbioso delle morti ha avuto un'impennata, aggiungendo 13 vite a quelle che ogni anno si perdono nelle celle, tra suicidi e morti che non si son visti riconoscere nemmeno il diritto di morire liberi. 13 vite di uomini e ragazzi, questa volta, stroncate mentre cercavano di opporsi e ribellarsi all’angoscia e all’impotenza di una pandemia vissuta da rinchiusi, senza più nessun diritto, senza informazioni, senza garanzie; in un luogo chiuso e affollato dove le difese contro il virus sono deboli, quando non impossibili. Riconosciamo, oggi per loro, i rituali cinismi di quel 1989: allora, si additavano le ragazze che facevano segnali di fuoco per comunicare con il maschile, e non si accusava la direzione che aveva accatastato centinaia di materassi infiammabili sotto le loro finestre, dove mai avrebbero dovuto essere. Oggi, si dice siano morti per overdose da farmaci rubati nell’infermeria, e mentre giungono alla magistratura le prime testimonianze di pestaggi, ancora nulla si sa, soprattutto, del perché, se davvero di overdose si è trattato, non siano stati soccorsi e salvati, perché molti di loro siano stati messi su un blindato per trasferirli, senza controlli medici, né prima né dopo, in viaggio per ore, e senza soccorso. Nulla si sa, ma intanto è giunta, per 8 di loro, morti nel carcere di Modena, l’archiviazione.
Allora, a Torino, dopo tre anni di una tenace opposizione al silenzio e all’archiviazione, arrivammo a un processo, che tuttavia non è stato, a nostro avviso, giusto: il fatto non sussiste. E poco hanno importato le voci di chi era testimone diretta, e le nostre.
Oggi altre voci cercano di non consentire al silenzio di calare come una cappa mortale sulla verità. Ci vuole tenacia, contro l’irrilevanza. Si deve andare avanti, anche fino a Strasburgo, fino alla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Nel 2019, trentesima ricorrenza della morte delle nostre nove compagne e delle due agenti, abbiamo dedicato loro un racconto corale, Lascia la porta aperta, spettacolo di teatro canzone creato dalle amiche del coro gli Abbaini e dall’associazione Aurea sulla base dei racconti delle superstiti, che avevamo raccolto 30 anni fa.
Lascia la porta aperta è dedicato a loro: Ivana Buzzegoli, Rosa Capogreco, Paola Cravero, Lauretta Dentico, Lidia De Simone, MorsulaDragutinovic, Editta Hrovat, Beatrice Palla, Radica Traikovic (Vesna), detenute e Rosetta Sisca e Maria Grazia Casazza, agenti.
Ora, lo dedichiamo anche a Marco Boattini, Salvatore Cuono Piscitelli, Slim Agrebi, Artur Iuzu, Hafedh Chouchane, Lofti Ben Masmia, Ali Bakili, Erial Ahmadi, Ante Culic, Carlo Samir Perez Alvarez, Haitem Kedri, Ghazi Hadidi, Abdellah Rouan, detenuti.
Morti e lasciati morire dopo le lotte e le rivolte contro un carcere dell’abbandono, della irrilevanza, della violazione dei diritti.
Una dedica per la verità e la giustizia.
In occasione della ricorrenza del 3 giugno 1989, quando l’incendio nel braccio femminile del carcere delle Vallette, a Torino, uccise undici donne, è ora online Lascia la porta aperta, spettacolo di teatro canzone dedicato a quella notte maledetta. Per non dimenticare.
Qui anche una nuova storia di quella notte, raccontata da Susanna Ronconi, pubblicata da Zapruder, n. 50/2019
1989-2020: un incendio, una pandemia. E la morte entra nelle celle
Il 3 giugno, per noi, si rinnova il dovere della memoria. Da quel 1989, quando un incendio nel braccio femminile del carcere delle Vallette, a Torino, uccise undici donne, nove detenute, due agenti. La più grande tragedia del carcere della riforma, abbiamo sempre scritto, fin dall’inizio, quando abbiamo chiesto verità e giustizia e lavorato per un giusto processo; e poi anno dopo anno, per 30 anni, perché la smemoratezza si è impadronita quasi subito di queste donne, destinando le loro morti alla irrilevanza. Smemoratezza e irrilevanza cui del resto, e sempre più, paiono destinate le vite e le morti di chiunque, donna e uomo, sia rinchiuso e recluso.
Oggi, 3 giugno 2020, riviviamo un nuovo anniversario, caparbiamente decise a non dimenticare. Ci vuole tenacia, contro l’irrilevanza.
Ma quest’anno è diverso. Il conto triste e rabbioso delle morti ha avuto un'impennata, aggiungendo 13 vite a quelle che ogni anno si perdono nelle celle, tra suicidi e morti che non si son visti riconoscere nemmeno il diritto di morire liberi. 13 vite di uomini e ragazzi, questa volta, stroncate mentre cercavano di opporsi e ribellarsi all’angoscia e all’impotenza di una pandemia vissuta da rinchiusi, senza più nessun diritto, senza informazioni, senza garanzie; in un luogo chiuso e affollato dove le difese contro il virus sono deboli, quando non impossibili. Riconosciamo, oggi per loro, i rituali cinismi di quel 1989: allora, si additavano le ragazze che facevano segnali di fuoco per comunicare con il maschile, e non si accusava la direzione che aveva accatastato centinaia di materassi infiammabili sotto le loro finestre, dove mai avrebbero dovuto essere. Oggi, si dice siano morti per overdose da farmaci rubati nell’infermeria, e mentre giungono alla magistratura le prime testimonianze di pestaggi, ancora nulla si sa delle autopsie e, soprattutto, del perché, se davvero di overdose si è trattato, molti di loro siano stati messi su un blindato per trasferirli, per ore e senza soccorso.
Allora, dopo tre anni di una tenace opposizione al silenzio e all’archiviazione, siamo arrivate a un processo, che tuttavia non è stato, a nostro avviso, giusto: il fatto non sussiste (leggi la sentenza). E poco hanno importato le voci di chi era testimone diretta, e le nostre (Leggi i racconti della notte dell'incendio).
Oggi, altre voci cercano di non consentire al silenzio di calare come una cappa mortale sulla verità. Ci vuole tenacia, contro l’irrilevanza (Comitato per la verità sulle morti in carcere, vedi anche la pagina FB).
Lo scorso anno, trentesima ricorrenza della morte delle nostre nove compagne e delle due agenti, abbiamo dedicato loro un racconto corale, Lascia la porta aperta, spettacolo di teatro canzone creato dalle amiche del coro gli Abbaini e dall’associazione Aurea sulla base dei racconti delle superstiti, che avevamo raccolto 30 anni fa.
Lascia la porta aperta è dedicato a loro: Ivana Buzzegoli, Rosa Capogreco, Paola Cravero, Lauretta Dentico, Lidia De Simone, Morsula Dragutinovic, Editta Hrovat, Beatrice Palla, Radica Traikovic (Vesna), detenute e Rosetta Sisca e Maria Grazia Casazza, agenti.
Quest’anno lo dedichiamo a Marco Boattini, Salvatore Cuono Piscitelli, Slim Agrebi, Artur Iuzu, Hafedh Chouchane, Lofti Ben Masmia, Ali Bakili, Erial Ahmadi, Ante Culic, Carlo Samir Perez Alvarez, Haitem Kedri, Ghazi Hadidi, Abdellah Rouan, detenuti. Per la verità e la giustizia.
Sono scaricabili integralmente gli atti del Seminario "Violenza di genere e populismo penale", che si è tenuto a Torino il 21 novembre presso la Sala Bobbio, organizzato da CCVD (Coordinamento Contro la Violenza sulle Donne), Sapereplurale e Amaryllus Onlus, in collaborazione con CIRSDE (Centro Interdisciplinare di Ricerca e Studio delle Donne e di Genere) con il patrocinio della Città di Torino
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